Dal 2008 l’Opera dei Pupi siciliani è stata riconosciuta dall’Unesco come Capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità. La tradizione dei Pupi iniziò nel XVIII secolo, quando gli spagnoli introdussero questi curiosi oggetti (utilizzati principalmente per l’intrattenimento dei bambini), di cui i siciliani seppero fare un’arte nobile e sopraffina.
Le prime storie rappresentate furono i racconti di banditi e santi, drammi shakespeariani e soprattutto le popolarissime vicende dei paladini di Francia. Riccamente decorati, con una struttura in legno, i pupi avevano delle vere e proprie corazze e variavano nei movimenti a seconda della scuola di appartenenza in palermitani o catanesi.
La differenza più evidente stava nelle articolazioni: leggeri e snodabili i primi, più pesanti e con gli arti fissi i secondi. Il pupo palermitano è alto circa 80 cm, pesa 8 kg, ha il ginocchio snodato e può sfoderare e rinfoderare la spada. Il peso relativamente esiguo permette al puparo un’ampia manovra, il pupo è agilissimo e ha un movimento veloce e scattante. Il pupo catanese è alto 1,40 m e pesa tra i 16 ed i 20 kg. Il ginocchio è rigido e la spada è sempre sguainata e pronta a sferrare colpi. I movimenti sono più posati, ampi ed enfatici, i passi e gli affondi più lenti e realistici.
Il puparo curava lo spettacolo, le sceneggiature, i pupi, e con un timbro di voce particolare riusciva a dare suggestioni e pathos alle scene epiche rappresentate.
I pupari, pur appartenendo a ceti poco abbienti, conoscevano a memoria opere come la Chanson de Roland e l’Orlando furioso. Ogni pupo rappresentava tipicamente un preciso paladino, caratterizzato per la corazza ed il mantello. Nell’Opera dei Pupi si trasmettono ancora oggi stili e comportamenti del popolo siciliano come la cavalleria, il senso dell’onore, la difesa del debole e del giusto, la priorità della fede.